Colbula, Corimeu, Liconchi, Alburu sono le quattro linee che prendono il nome dal dialetto gallurese e dalle quali vengono tratti gli oggetti scultorei creati dall’artista che hanno anche funzioni di centrotavola, vasi, alzate. Vogliono essere oggetti d’affezione, legati ad una personale ricerca nel contemporaneo e alla memoria della quotidianità della sua terra d’origine. Forme proprie della nostra epoca e primordiali si fondono non con l’intento di rievocare una tradizione perduta, ma piuttosto con la consapevolezza che “fra l’arcaico e il contemporaneo ci sia un appuntamento segreto” (Che cos’è il contemporaneo? – G.Agamben). E che proprio per questo sia possibile rispondere ai desideri, ai bisogni, alle urgenze che danno forma al nostro presente, solo incendiando “il materiale esplosivo riposto nel già stato”(The Arcades Project – W.Benjamin) e quindi reinterpretando in chiave moderna, gli embrioni che hanno dato vita a questi oggetti che provengono da una antichissima tradizione.
“Ho sempre sentito la necessità di dare un appiglio ai miei ricordi e alle mie storie, una foto, un oggetto, un libro, una canzone, fanno sì che abbiano prove, alibi e forza per la narrazione soprattutto ora che la mente a volte mi appare come un territorio misterioso, dove le emozioni disegnano traiettorie che sfuggono ad ogni controllo e poi mi torna utile in un periodo di cattivi pensieri. Si capisco che anche un solo oggetto possa bastare, che non sia necessario l’accumulo, ma mentre lo fai non te ne rendi conto perché ogni storia diventa importante e ogni storia è concatenata l’una all’altra e l’alibi per ognuna in un attimo diventa l’alibi per una vita intera”. Piero Angelo Orecchioni Occhioni