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GHOST, IL PENSIERO DEL SOCIOLOGO DOMENICO DE MASI

Forgiata dalla sapienza tecnica ed estetica di Vittorio Livi, nacque Ghost, la poltrona in vetro che, presentata per la prima volta al Salone del Mobile di Milano nel 1987, venne subito premiata in un concorso della rivista “Interni” che invitava i visitatori a scegliere il prodotto più innovativo. A motivare quel giudizio immediatamente entusiasta dovette certo essere il design armonioso ed elegante, ma ancora di più la sorpresa che Ghost suscita per il suo essere ombra, traccia, parvenza, spirito, anima. Per il suo proporsi come oggetto che tende all’inesistenza e che tuttavia si impone per il paradosso che reca in se stessa.

Il paradosso sta nell’essere fatta di vetro, cioè del materiale che più di ogni altro evoca fragilità e leggerezza, ma di essere costretta a svolgere una funzione solida e pesante come quella di accogliere un corpo umano. Come ogni oggetto di design che attinge alla perfezione, Ghost supera le contrapposizioni tra bello e utile, ma anche tra agio e disagio: il disagio di affidare il proprio corpo a una poltrona visibilmente fragile e l’agio di esserne accolti come in un respiro. Ormai laureata a pieni voti nel Salone del Mobile, Ghost proseguì la sua marcia trionfale: subito venne premiata in un’apposita manifestazione alla Triennale di Milano e nello stesso anno vinse il premio “Forum design” assegnato da una giuria molto prestigiosa, composta da Gae Aulenti, Rodolfo Bonetto, Vittorio Gregotti, Augusto Morello, Massimo Vignelli, Marco Zanuso. Ma cosa è che impone Ghost come unicum? Adorno ci ha fatto comprendere che, dal romanticismo in poi, l’arte non cerca più la bellezza ma la novità, il cambiamento, la distorsione e lo shock. Ghost offre tutto questo e vi aggiunge la bellezza.

L’essenza del bello sta nell’organizzazione. Qualcosa è bello se ogni sua parte ha un senso, se c’è un rapporto organico tra le sue parti e se il tutto è capace di funzionare. Ghost risponde a questi requisiti e vi aggiunge la perfezione: una perfezione che possiede la levigata ripetibilità dell’oggetto industriale e la cura affettuosa dell’oggetto artigianale risolvendo così la tensione tra William Morris e la Bauhaus. Herman Melville fa dire a un suo personaggio di Moby Dick: “Non mi piace dar mano che a lavori puliti, vergini, matematici, come si deve; qualcosa che cominci regolarmente dal principio, nel mezzo sia alla metà, e alla fine sia concluso”. Solo la cura scrupolosa e geniale di Vittorio Livi, unita alla fantasia creativa di Cini Boeri e Tomu Katayanagi, poteva produrre un miracolo di luce e di ombra come Ghost.

Gli ingredienti di questo miracolo sono la tecnologia, che trasforma in duttile e tenace un materiale alternativo come il vetro; la pulizia dell’oggetto, che lo accredita presso i più esigenti difensori dei valori ecologici; la trasparenza che lo rende invisibile e dunque abbinabile a ogni contesto d’arredo; l’eternità della sua levigatezza, della sua durata, della sua bellezza. Bruno Munari sintetizzò tutto questo dicendo che “Sembra la pietrificazione di un nastro d’acqua, quasi l’astratto solidificarsi di un’idea, dove tecnologia può fare rima con poesia”. É questo il miracolo di fantasia e concretezza per cui Ghost è stata inserita da professionisti eccellenti in contesti prestigiosi come l’Expo Giappone, la Triennale di Milano e molti altri musei internazionali d’arte e design. Razionalismo, postmodernismo, bolidismo, eclettismo, minimalismo, ed altri “ismi” hanno segnato la storia recente del design, ma la poltrona “Ghost” ha attraversato indenne queste onde del tempo rimanendo attuale, al di sopra delle mode. Perché – come ha detto John Keats – “L’opera d’arte è una gioia creata per sempre”.

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